Google-Fitbit, l’ufficialità apre la strada a tanti dubbi

Google-Fitbit, l’ufficialità apre la strada a tanti dubbi






Una delle acqusizioni più importanti nella storia Google si porta dietro tanti interrogativi sulle possibilità di integrare una realtà così diversa

La vicenda Google-Fitbit continua a prendere rapidamente consistenza. Al punto da indurre i più attenti a domandarsi sul cosa avverrà ora che l’annuncio dell’acquisizione per 2,1 miliardi di dollari è ufficiale. Molto interessante, l’analisi dell’autorevole The Verge, alla luce delle esperienze precedenti di Google e della natura molto particolare di Fitbit. Una combinazione potenzialmente molto rischiosa per un lieto fine.

Tanto per cominciare, si tratta di una delle più grandi acquisizioni di Google. Per intenderci, maggiore come impegno economico di quella a suo tempo sostenuta per YouTube. I paragoni però, si devono fermare qua, perché Fitbit è una realtà del tutto diversa, per molti versi estranea alle strategie finora messe in campo da Google.

La fine per lo spirito libero Fitbit

Prima di tutto, Fitbit ha un’identità. Per quanto leggermente appannato negli ultimi tempi, l’abbinamento smartwatch-fitness è fattore distintivo per il produttre di smartwatch.

Fatte le debite proporzioni, non molto diversamente da quanto rappresenta Apple. Rinchiuderlo sotto le insegne Google con buona probabilità significa deludere tanti fedelissimi, e le prime reazioni tra gli utenti vanno proprio in questa direzione

Certamente, non un problema insormontabile per Google. Il proprio potenziale bacino di utenza è talmente grande da non doversi preoccupare più del necessario di questo aspetto. Almeno, non subito.

D’altra parte, l’esperienza degli smartphone Pixel è già di per sè rappresentativa delle difficoltà incontrate nel mondo hardware. I benefici dell’acquisizione HTC iniziano a vedersi a distanza di un paio di anni. Senza naturalmente dimenticare le infinite note dolenti dei Google Glass.

Più ancora degli aspetti legati all’evoluzione tecnologia, i timori pronti a esplodere sono quelli riconducibili alla privacy. In questi anni, Fitbit ha raccolto miliardi di informazioni collegate all’attività dei propri utenti. Dati molto sensibili, perché riconducibili facilmente a fattori di salute. Pensare di vederli presto trasformati in messaggi pubblicitari, non è un’ipotesi particolarmente allettante.

Apple non può scappare

La posta in gioco nel settore wearable è molto alta. Sulle potenzialità di applicare i dispositivi indossabili con certificazioni mediche alla Salute vale cifre anche solo difficili da stimare. Il vantaggio acquisito da Apple costringe gli inseguitori a non perdere tempo.

Considerate le difficoltà incontrate da Google nel mondo smartwatch e tracker, la decisione era quasi obbligata. Pensare sarebbe toccato a Fitbit, e così in fretta, decisamente meno.

Per esempio, a questo punto viene lecito chiedersi cosa avverrà del sistema operativo Fitbit, tutto sommato rivelatosi un successo. Appare azzardato pensare possa sostituire Wear OS, a sua volta adottato da diversi marchi da non sottovalutare.

Se invece dovesse farsi strada la prospettiva di un progressivo abbandono, facile ipotizzare un’ulteriore emorragia di utenti verso scelte alternative. Naturalmente, sempre con Apple che non aspetta altro.

Due realtà diverse da combinare

Uno degli interrogativi maggiori restano però le reali potenzialità di successo. A differenza di altri grandi marchi, Google ha una storia più ricca di acquisizioni non esattamente di successo. Un esempio su tutti, probabilmente non molti ricordano le vicende Motorola, marchio tra i più storici nel mondo dell’informatica. Presa con grandi ambizioni, salvo liberarsene senza troppi clamori dopo poco tempo.

Il nodo sono due mentalità all’apparenza molto diverse tra loro. Da una parte, una delle aziende più grandi ed economicamente potenti al mondo, con regole molto rigide e una visione molto mirata, a volte quasi spregiudicata. Dall’altra una Fitbit capace di sviluppare una nicchia per prenderla quasi uno stile di vita all’insegna della massima apertura. Unire le due cose senza intaccare i rispettivi valori appare decisamente una scommessa azzardata.

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