Così Simone Moro vola alto tenendo lo zaino sulle spalle

Così Simone Moro vola alto tenendo lo zaino sulle spalle






Alla voglia intatta di scalare le vette più alte, possibilmente in inverno, Simone Moro affianca la passione per l’elicottero trasformata in servizio

La passione per la montagna è una di quelle difficili da spiegare a chi ne è estraneo. Una potenziale fonte di emozioni pronte a trasformarsi in ricordi indelebili. Dall’altro punto di vista, anche un’esposizione a rischi che non tutti sono disposti a correre. In ogni caso, quando spinta all’estremo, qualcosa in grado di trasformarsi in leggenda.

Nel caso di Simone Moro, uno degli alpinisti più conosciuti e coraggiosi in assoluto, anche fonte di ispirazione per portare l’esplorazione al di fuori delle vette, volando alto nella vita di tutti i giorni. Come racconta in occasione del recente Garmin Beat Yesterday 2022, non solo per passione.

Al grande pubblico sei noto come alpinista, eppure oggi la tua vita non si ferma a quello. Di cosa ti occupi?

Di tante cose. In parallelo all’alpinista e tutto quanto vi ruota intorno, come narratore, conferenziere o motivatore, ho una vita seduto ai comandi di un elicottero. Una società mia, nata come progetto di beneficienza al servizio delle popolazioni in Himalaya, per portare il soccorso alpino in Nepal e poi estesa anche in Italia, come attività imprenditoriale.

Come è nata l’idea?

Da un soccorso sull’Everest nel 2001, per portare in salvo un’alpinista in pericolo sopra gli ottomila metri. Sono riuscito a portarlo in salvo sulle mie spalle e ho pensato fosse arrivato il momento di cambiare. Di non dover sempre sperare di trovare uno disposto a correre certi rischi.

Come l’hai sviluppata?

In Italia possiamo contare su una tradizione elicotteristica tra le migliori al mondo. Ho pensato sarebbe stato utile esportare queste capacità costruttive e di guida. Insieme a quelle dei soccorritori. Non sono certo il migliore pilota, ma ho comunque accumulato esperienza. Se ci aggiungiamo la conoscenza del territorio, non aver paura della verticalità o atterrare e dormire anche qualche notte in mezzo al nulla e al freddo, il progetto poteva tornare utile per il Nepal.

Lo è stato?

Certamente. All’inizio poteva anche sembrare folle, ma nel giro di alcuni anni ha trasformato la nazione passando da due società di servizi con elicotteri a quattordici. Se consideriamo una cinquantina di persone impiegate in ognuna di queste, sono circa un migliaio di posti di lavoro. La gente del posto può contare su un sistema di soccorso ramificato e diversificato.

Come si è integrato il progetto nella realtà del Nepal?

Parliamo di una nazione con circa tre milioni di abitanti e pochissime strade. Quelle che ci sono, si fermano ai piedi delle montagne. Quindi, non si può considerare un servizio esclusivo o un capriccio. Là l’elicottero significa supportare la crescita e l’economica, un aiuto nella realizzazione degli impianti di telefonia o elettrici, nella canalizzazione delle acque, nel trasporto di materiali.

Torniamo al Simone Moro alpinista. Cosa hai in cantiere?

Sono in partenza verso l’Himalaya, per una nuova missione. Per la quarta volta proverò a scalare il Manaslu in invernale. È la montagna in assoluto ad avermi fatto tribolare di più, dove finora ho trovato condizioni meteo diverse da tutte le altre cime. La perfetta metafora che non esistono montagne facili o difficili da arrampicare, sono le condizioni ambientali a segnare la differenza.

Quanto ti può aiutare le tecnologia in queste circostanze, e quanto è cambiato da questo punto di vista nel corso degli anni?

Si è certamente evoluta, ma alla fine resta l’uomo a fare la differenza. La tecnologia è al servizio di tutti, come nel ciclismo dove una volta tutti correvano con dei cancelli e oggi possono contare su biciclette in carbonio. Ma alla fine vince il più forte. Lo stesso discorso vale per il GPS, il telefono satellitare, piccozze ultraleggere o tende e sacchi a pelo di ultima generazione. Li sfruttano ormai tutti, per cui la prestazione dipende ancora da noi.

Dove ha portato benefici importanti?

Certamente, sul fronte della sicurezza, ma questo non significa abbassare il coefficiente di pericolosità. Quando sei in pericolo su una cresta a ottomila metri, il GPS, il telefono satellitare o il Garmin InReach non bastano. Il versante della montagna resta freddo e pericoloso, ostile come prima. Posso anche chiamare i soccorsi, ma non è detto riescano a raggiungermi per portarmi in salvo.

Sul fronte della comunicazione però, i cambiamenti sono evidenti. Soprattutto, quando non siete in parete. Come ti comporti in queste situazioni?

Sicuramente la narrazione è cambiata tantissimo. I sistemi di comunicazione sono diventati praticamente istantanei e continui. D’altra parte, non dobbiamo guardare al GPS o a InReach come abbattimento del pericolo. È semmai abbattimento dell’isolamento, un rendere più difficile perdersi. Ma ci si può fare male sempre e comunque.

Come consigli di sfruttare queste opportunità?

Pensare di potersi spingere oltre solo grazie alla tecnologie, a volte può diventare un rischio. Parliamo di strumenti al nostro servizio e dai quali non dover dipendere. Sono favorevole, ma li vedo come strumento e non protagonisti. Un dispositivo non significa avere il patentino di alpinista, nuotatore o anche solo fungaiolo. Può agevolare i soccorsi, ma tanto dipende sempre da noi.

Per chi invece resta diffidente, cosa consigli?

La possibilità di isolarsi resta, perché si può sempre scegliere comunque di farne  meno. Una visione forse romantica, ma certo realistica. La tecnologia è una scelta, se non piace, basta spegnere i dispositivi o lasciarli a casa. Mi riferisco però a esploratori o professionisti consapevoli delle proprie scelte. Da padre non lo consiglierei a mio figlio

Hai già pensato a cosa fari dopo la spedizione al Manaslu?

A volte mi rendo conto di poter sembrare quasi giurassico come alpinista agli occhi di qualcuno. Forse, dovrei essere più intelligente e pensare che a 55 anni sia arrivato il momento di mettermi sul divano e incicciottire facendo l’opinionista. Però, sul divano non mi piace stare e l’opinionista posso farlo anche dopo una doccia di ritorno da un allenamento. D’altra parte, non sono Mosè e prima o poi dovrò fermarmi. Non è detto sia l’occasione per congedarmi dagli ottomila e concentrami su obiettivi meno alti ma più impegnativi tecnicamente.

Pubblicato il 24/12/2022


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