Allenando il cervello, la realtà virtuale Mapei tiene in piedi i ciclisti

Allenando il cervello, la realtà virtuale Mapei tiene in piedi i ciclisti

Gli studi avviati e con i professionisti della Trek Segafredo sfruttano il principio della brain plasticity

La combinazione tra tecnologia e sport è ormai consolidata da tempo, a più livelli. Dai sistemi più sofisticati in grado di analizzare le prestazioni dei professionisti, fino ai dispositivi pronti ad assistere l’appassionato nelle proprie uscite. Finora però, a differenza di altri strumenti di ultima generazione, come i diffusissimi tracker e smartwatch, la realtà virtuale è rimasta relegata al ruolo di intrattenimento, senza mai rivelarsi veramente utile per la preparazione di una gara o anche come valido supporto tecnico.

Oggi, grazie al Centro Ricerche Mapei Sport, la situazione è cambiata. Tra le tante novità studiate nel campo dell’allenamento specializzato in discipline quali calcio, ciclismo, pallacanestro, podismo, golf, sci alpino e sport motoristici, una riguarda proprio la realtà virtuale. In particolare, si parla di test attentivi tramite il motion tracking object, per misurare la capacità di rimanere concentrati e i tempi di reazione a uno stimolo dell’atleta. La sperimentazione con un visore VR è iniziata con i ciclisti professionisti della Trek Segafredo e i giovani del vivaio della Polartec Kometa guidata da campioni del passato recente come Alberto Contador e Ivan Basso.

«Stiamo sondando il campo dell’attenzione, che offre aspetti interessanti e assolutamente attuali legati, per esempio, alla prevenzione delle cadute nel ciclismo – spiega Andrea Morelli, responsabile del settore ciclismo e del laboratorio analisi del movimento al Centro Ricerche Mapei Sport  -. Studiare il livello di attenzione di un individuo ci permette di raccogliere dati di confronto e svolgere analisi un tempo impensabili”.

Solo fino pochi anni fa infatti, si era convinti che il cervello non potesse modificare la sua struttura, oggi invece la scienza ha dimostrato che è in grado di farlo tramite un processo chiamato brain plasticity, costruendo nuove connessioni neuronali, una caratteristica migliorabile attraverso l’allenamento mentale.

«Nel ciclismo, la componente aerobica è predominante – conclude Morelli -. È fondamentale capire se e come questa metodologia e le altre che stiamo studiando possano essere inserite e affiancate alle altre nella programmazione dell’allenamento”.

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